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Uguali ma Diversi

By 11 Settembre 2019 11 Novembre, 2019 No Comments

Uguali ma Diversi

La Kodak era immortale, la Kodak non era un’impresa, era un luogo di culto, una azienda cattedrale. Come ogni cattedrale era senza tempo: sopravvissuta a guerre mondiali, crisi economiche, cambiamenti politici epocali. Sono note le sue collaborazioni con le forze militari americane: nei sotterranei dell’headquarter è stato trovato persino un reattore nucleare. Era nascosto in una stanza con pareti rinforzate. Nessuno sa il perché.

In un qualsiasi gennaio del 2012, Kodak cade nell’amministrazione controllata e le azioni della storica azienda americana perdono quasi tutto il loro valore. L’azienda era tecnicamante fallita da più di un decennio e, come è noto, il leader mondiale della pellicola e della fotografia crolla a causa della diffusione dei mezzi digitali. E’ un declino lento e inesorabile, ben dieci anni che gettano nello sconforto i manager di una delle aziende più potenti del mondo. Durante questo periodo l’azienda giustifica l’appannamento del suo business con gli eventi esterni, come la contrazione del turismo dovuta al terrorismo, rifiutando l’idea che invece stia avvenendo una improvvisa conversione dei consumi. Verrebbe da dire che fin qui niente di nuovo: un flop attribuibile al più classico degli avvicendamenti tecnologici. Apparentemente l’azienda di George Eastman, dopo 120 anni di vita, si sgretola a causa della sua incapacità di inglobare le novità tecnologiche.

Ma non è così. Kodak era l’azienda del settore più attenta al mercato di massa e alle esigenze di semplicità del consumatore: la InstantMatic era la prima macchina portatile in grado di far scattare fotografie anche al più inetto degli esseri umani, “Voi premete il pulsante, al resto ci pensiamo noi”. Un parallelepipedo nero, di bassa qualità, che tutte le famiglie avevano in casa. La Kodak era geneticamente sensibile alla innovazione al punto di produrre una serie praticamente infinita di brevetti.

Talmente innovativa che la prima vera fotografia ottenuta attraverso un processo solo elettronico è realizzata nel 1975 proprio nei laboratori Kodak, da Steven Sasson. Il brevetto della fotografia Digitale è di Kodak: l’azienda incassa tantissimo denaro da esso ma decide di non produrre macchine digitali.

E allora? Perché una azienda culturalmente predisposta e che investe milioni di dollari nel digitale si dilegua così?

Semplice: Kodak era un’azienda dal carattere ostinato. Attenzione: non i suoi manager, non i suoi dipendenti, ma proprio lei, si Lei, la Kodak. C’era poco da fare: più i suoi tecnici si scervellavano per inserirsi nel mercato del digitale e più Lei si ostinava a produrre pellicole e sistemi sempre più sofisticati di stampa. Immaginatela. Lei, la Kodak, fanatica della chimica, capricciosamente innamorata di pellicole e soluzioni acide, che vive notte e giorno in un laboratorio insensibile ai chip e alle diavolerie digitali.

La Kodak: l’ostinata. E’ un tratto caratteriale, un’identità precisa, un insieme di convinzioni inconsce che anche il più bravo dei suoi manager è riuscito a deviare o a riconfigurare.

Kodak non crede alla fotografia digitale e nello stesso periodo IBM non crede alla diffusione dei PC. La solita storia: succede che un padre svaluta il proprio figlio. Non è che non lo ami, è che non crede in lui. Ma cominciano a succedere delle cose che dimostreranno che quel figlio senza futuro, ha un futuro, anzi è il futuro.

Ma IBM ha un altro carattere: un’azienda ad esempio che persegue l’innovazione anche a dispetto della volontà dei suoi manager. Nel 1943 Thomas J. Watson, presidente di IBM, così si esprimeva: “Penso che ci sia un mercato mondiale per, forse, cinque computer”. Nel 1968 un ingegnere della Advanced Computing Systems Division dell’IBM, riferendosi al microchip disse “Ma all’atto pratico, a cosa serve?”. Nei primi anni ‘80 IBM produce il suo primo personal computer, ma non cela affatto la sua diffidenza sul mercato dei PC che considera in fondo solo dei tecno-giocattoli. Per risparmiare i responsabili dell’IBM non adottano il sistema operativo CP/M, già affermato sul mercato, e commissionano al giovane Bill Gates l’MS-DOS, creando così il concorrente che li estrometterà definitivamente dal mercato del software di base. Il PC ha di fatto avviato la rivoluzione informatica che oggi viviamo, ma i manager IBM per molti anni hanno snobbato la loro stessa creatura.

Se IBM, seppur ridimensionata, è ancora un leader indiscusso dell’information technology c’è una sola spiegazione: IBM è una venditrice. Si Lei, proprio Lei. IBM, the Big Blu, la nostra mamma tecnologica, evocata in modo subliminale da Kubrick in Odissea dello spazio, idolatrata da un’intera generazione di futurologi e di appassionati di fantascienza, IBM è l’innovazione tecnologica ma anche la migliore venditrice della storia dell’informatica. 

Neanche i suoi terribili spot televisivi sono riusciti ad oscurare l’idea fascinosa che si è incastrata nel nostro immaginario. La proiezione verso il futuro, il carisma onirico, sono caratteristiche profonde di IBM e sono connesse al funzionamento dell’Azienda, alla sua condizione di processo globale e integrato, e ci permettono di sottolinearne la vitalità, la interezza, le capacità di sviluppo, l’organizzazione complessiva. Perché è sopravvissuta ai numerosi errori? Semplice, perché è un’organizzazione dall’identità polimorfa, perché migliaia di commerciali sondano in ogni istante il mercato, perché le strategie aziendali emergono dal basso, perché l’innovazione ce l’hai dentro e ha due caratteristiche fondamentali: la resilienza e la capacità di governare disordine e ridondanze.

Kodak è una azienda “organismo”, molto simile ad un essere umano, un essere umano “nerd” e dalla rara ostinazione.

IBM è una azienda “organismo”, molto simile ad un essere umano, un essere umano “geek” e dedito alla vendita.

Storie simili ma caratteri opposti. Perchè le aziende hanno un carattere…o no?

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