

Lo confesso: sono un consumatore compulsivo di teorie del management. Dopo anni di galvanizzanti letture serali ho deciso però di disintossicarmi. Sono anche pervenuto ad una semplice conclusione: la portata degli approcci al management, soprattutto negli ultimi trent’anni, non è stata innovativa o utile per le imprese e il paradigma di queste innovazioni manageriali è restato sostanzialmente immutato rispetto al secolo scorso. I sistemi di pianificazione e budgeting, gli approcci alla strategia d’impresa, i principi organizzativi e i sistemi e gli strumenti di misurazione delle performance aziendali sono ancora tutti fortemente influenzati da logiche riduzioniste e deterministiche. La causalità che lega le decisioni manageriali continua ad essere lineare: fare A per ottenere B, scegliere C per massimizzare D e così via. Insomma si cercano i processi. Ergo: la linea guida prevalente è lo studio dei processi As Is e l’ipotesi dei processi To Be.
Ma è veramente possibile analizzare con precisione i processi aziendali? E’ possibile osservarli e descriverli con puntualità? E’ possibile scoprirne il malfunzionamento come si fa ad esempio con un motore di un auto in avaria?
Chi come me si è trovato per anni nella poco fortunata situazione di automatizzare i processi ripetitivi dell’azienda e tentare di digitalizzare i processi collaborativi, sa che la possibilità di ricorrere agli strumenti tradizionali di rilevazione delle informazioni e delle condizioni di contesto è un’illusione. Le prassi consolidate, il non detto, le procedure sommerse sono una costante. Le interviste agli utenti, i focus group, le gap analisi, dicono poco o nulla delle interazione reali fra i soggetti coinvolti, dei veri momenti decisionali, delle deviazioni possibili dalla procedura standard. Il lavoro dell’analista dei processi dovrebbe somigliare di più a quello di uno psicoanalista: far “emergere” i processi reali attraverso metodologie alternative.
Se vogliamo provare a fare un passo in avanti nella comprensione delle dinamiche comportamentali aziendali dobbiamo cominciare a considerare un’azienda come un soggetto cognitivo in sé. Un soggetto cognitivo molto complesso, con una identità polimorfa, il cui fine è la sua stessa esistenza nel tempo attraverso il mantenimento della sua capacità di crearsi e ricrearsi continuamente.
I processi mentali coscienti, secondo Freud, sono la punta di un iceberg che emerge da una base sommersa invisibile. Analogamente in una azienda ci sono processi di lavori eterogenei, alcuni chiari e monitorati, altri sommersi e fuori controllo. In letteratura si parla di BPM Maturity Model. Anche noi adottiamo arbitrariamente una tassanomia Freudiana e ci lanciamo in una classificazione possibile:
· I processi occulti: sono non strutturati e tracciati. Non esistono misure di processo. Le strutture organizzative si basano su prassi non scritta.
· I processi indefiniti: sono processi non mappati; il loro successo dipende da alcuni specialisti; la schedulazione, la qualità e i costi non sono prevedibili.
· I processi non formalizzati: sono processi visibili e organizzati ma non regolamentati. Gli strumenti di misurazione sono locali alle funzioni responsabili.
· I processi regolamentati: sono processi sottoposti ad “audit”. Gli esiti sono monitorati e documentati. La qualità del processo è spesso “scollata” dalla sua definizione.
· I processi monitorati: processi sotto controllo, ottimizzati e regolamentati. La misurazione è puntuale e l’adattibilità è continua.
Come fare emergere i processi rimossi? Freud elaborò l’interpretazione dei sogni. Per decifrare i sogni bisogna seguire una tecnica indiziaria che parte da un “evidenza”, cioè un racconto onirico, per capire cosa si celi dietro tale apparenza. Ovvero l’inconscio ci segnala attraverso i sogni i desideri proibiti e latenti che l’analista ha il compito di far emergere. I sogni, secondo Freud, si dividono in un contenuto latente e uno manifesto. Il contenuto manifesto è il sogno in sé, mentre il contenuto latente sono le circostanze che danno luogo alla scena onirica.
Dato che, come è noto, l’azienda non sogna, cosa fare? L’approccio classico di BPM ha bisogno di una integrazione: l’analisi degli “outcomes”. Il contenuto manifesto dei processi occulti sono le evidenze che questi producono, ovvero:
· I documenti: le evidenze “validate” o “validabili” che rispondono alle esigenze di attestazione degli esiti del particolare processo.
· Le comunicazioni: le e-mail o affini che “svelano” le interazioni fra gli attori del processo e la rete “informale” che consente di procedere con le attività connesse.
· I report: i fogli Excel, i prospetti personali che fungono da “dashboard” di processo e che nascondono la strutturazione attiva e il governo delle “milestone” per quanto inconsce.
Da qui l’esigenza di affidarsi ad un Docanalista: ovvero un esperto di contenuti destrutturati che sia in grado di far emergere i processi sommersi e proporre soluzioni di digitalizzazione che colgano l’essenza delle interazioni sul campo. Purtroppo gli outcomes non solo soffrono di destrutturazione ma spesso sono “nascosti” e rintracciabili solo su repository personali e fuori dal controllo e dal governo aziendale. Scovarli non è facile e bisogna agire con sistematicità e capillarità.
È un primo passo che consente di raccogliere le “impronte” che lasciano i processi ad alto tasso di entropia e collaborazione. Sono spesso impronte ad “alto valore” che rivelano la natura dei processi più pregiati dell’azienda: la sua capacità di reattività, la sua possibilità di fruire delle competenze professionali spesso connesse al talento e all’ingegno delle singole risorse.
La fase due della metodologia è la ricostruzione dei processi sommersi e la loro relazione con quelli monitorati. E’ un’attività che potenzia la capacità di analisi e che permette di dosare gli interventi di miglioramento. Le tecniche di analisi si concentrano sulla natura relazionale della struttura sociale e descrivono le scelte degli attori, individuali e collettivi, che rappresentano il nodo di un vero e proprio network. Gli output del task indirizzano gli elementi di crescita sulla base delle seguenti rilevazioni:
La Docanalisi propone un approccio “disruptive” fondata su due presupposti: il riconoscimento dell’identità cognitiva dell’azienda, della complessità genetica delle organizzazioni, e sull’idea che l’approccio analitico e deterministico della consulenza tradizionale, spesso basato sull’applicazione di modelli rigidi e obsoleti, non è sufficiente a cogliere gli aspetti più intimi e creativi dei processi aziendali.
Per saperne di più prova: https://bit.ly/2UqGsKo
P.S: Sigmund Freud è stato usato in quest’articolo in modo strumentale e abusivo. Speriamo non ne abbia a male.
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