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Principi di DocAnalisi

By 11 Settembre 2019 26 Aprile, 2021 No Comments

Principi di DocAnalisi

Avvertenza: se siete convinti che l’azienda sia un’organizzazione razionale e trasparente, se il vostro stile di management è incentrato su metodi di rigorosa e scientifica organizzazione del lavoro, se pensate che il problema della vostra azienda sia solo l’assenza di adeguati standard procedurali, be’ vi sconsigliamo la lettura di quest’articolo. Se al contrario avete il sospetto che l’azienda sia un organismo complesso, un ecosistema dagli equilibri delicatissimi, sempre in bilico e in continuo adattamento, allora potete proseguire serenamente nella lettura.

Lo confesso: sono un consumatore compulsivo di teorie del management. Dopo anni di galvanizzanti letture serali ho deciso però di disintossicarmi. Sono anche pervenuto ad una semplice conclusione: la portata degli approcci al management, soprattutto negli ultimi trent’anni, non è stata innovativa o utile per le imprese e il paradigma di queste innovazioni manageriali è restato sostanzialmente immutato rispetto al secolo scorso. I sistemi di pianificazione e budgeting, gli approcci alla strategia d’impresa, i principi organizzativi e i sistemi e gli strumenti di misurazione delle performance aziendali sono ancora tutti fortemente influenzati da logiche riduzioniste e deterministiche. La causalità che lega le decisioni manageriali continua ad essere lineare: fare A per ottenere B, scegliere C per massimizzare D e così via. Insomma si cercano i processi. Ergo: la linea guida prevalente è lo studio dei processi As Is e l’ipotesi dei processi To Be.

Ma è veramente possibile analizzare con precisione i processi aziendali? E’ possibile osservarli e descriverli con puntualità? E’ possibile scoprirne il malfunzionamento come si fa ad esempio con un motore di un auto in avaria?

Chi come me si è trovato per anni nella poco fortunata situazione di automatizzare i processi ripetitivi dell’azienda e tentare di digitalizzare i processi collaborativi, sa che la possibilità di ricorrere agli strumenti tradizionali di rilevazione delle informazioni e delle condizioni di contesto è un’illusione. Le prassi consolidate, il non detto, le procedure sommerse sono una costante. Le interviste agli utenti, i focus group, le gap analisi, dicono poco o nulla delle interazione reali fra i soggetti coinvolti, dei veri momenti decisionali, delle deviazioni possibili dalla procedura standard. Il lavoro dell’analista dei processi dovrebbe somigliare di più a quello di uno psicoanalista: far “emergere” i processi reali attraverso metodologie alternative.

Se vogliamo provare a fare un passo in avanti nella comprensione delle dinamiche comportamentali aziendali dobbiamo cominciare a considerare un’azienda come un soggetto cognitivo in sé. Un soggetto cognitivo molto complesso, con una identità polimorfa, il cui fine è la sua stessa esistenza nel tempo attraverso il mantenimento della sua capacità di crearsi e ricrearsi continuamente.

E se dunque ci venisse in aiuto proprio Freud? Il nostro caro Sigmund aveva intuito che chiedere a chi ha un disturbo mentale di descrivere il suo male era una pratica piuttosto inutile. Anche l’osservazione dei comportamenti “coscienti” dava risultati mediocri. Bisognava uscire dai perimetri ristretti della coscienza e provare a scovare i processi nascosti, le forme strutturali del nostro agire, le fonti nascoste dietro il pensiero razionale.

I processi mentali coscienti, secondo Freud, sono la punta di un iceberg che emerge da una base sommersa invisibile. Analogamente in una azienda ci sono processi di lavori eterogenei, alcuni chiari e monitorati, altri sommersi e fuori controllo. In letteratura si parla di BPM Maturity Model. Anche noi adottiamo arbitrariamente una tassanomia Freudiana e ci lanciamo in una classificazione possibile:

·      I processi occulti: sono non strutturati e tracciati. Non esistono misure di processo. Le strutture organizzative si basano su prassi non scritta.

·      I processi indefiniti: sono processi non mappati; il loro successo dipende da alcuni specialisti; la schedulazione, la qualità e i costi non sono prevedibili.

·      I processi non formalizzati: sono processi visibili e organizzati ma non regolamentati. Gli strumenti di misurazione sono locali alle funzioni responsabili.

·      I processi regolamentati: sono processi sottoposti ad “audit”. Gli esiti sono monitorati e documentati. La qualità del processo è spesso “scollata” dalla sua definizione.

·      I processi monitorati: processi sotto controllo, ottimizzati e regolamentati. La misurazione è puntuale e l’adattibilità è continua.

Pensare che i processi organizzativi siano tutti ottimizzabili è un’illusione: come qualsiasi organismo cognitivo l’azienda ha bisogno di “celare” ai processi razionali i meccanismi di funzionamento automatizzati e relegabili alla mera prassi. Freud parlava di rimozione. Il cervello occulta le “procedure di fatto” e le dimentica strutturando intorno a questo nucleo complesso tecniche e metodi razionali e logici.

 
 

Come fare emergere i processi rimossi? Freud elaborò l’interpretazione dei sogni. Per decifrare i sogni bisogna seguire una tecnica indiziaria che parte da un “evidenza”, cioè un racconto onirico, per capire cosa si celi dietro tale apparenza. Ovvero l’inconscio ci segnala attraverso i sogni i desideri proibiti e latenti che l’analista ha il compito di far emergere. I sogni, secondo Freud, si dividono in un contenuto latente e uno manifesto. Il contenuto manifesto è il sogno in sé, mentre il contenuto latente sono le circostanze che danno luogo alla scena onirica.

Dato che, come è noto, l’azienda non sogna, cosa fare? L’approccio classico di BPM ha bisogno di una integrazione: l’analisi degli “outcomes”. Il contenuto manifesto dei processi occulti sono le evidenze che questi producono, ovvero:

·      I documenti: le evidenze “validate” o “validabili” che rispondono alle esigenze di attestazione degli esiti del particolare processo.

·      Le comunicazioni: le e-mail o affini che “svelano” le interazioni fra gli attori del processo e la rete “informale” che consente di procedere con le attività connesse.

·      I report: i fogli Excel, i prospetti personali che fungono da “dashboard” di processo e che nascondono la strutturazione attiva e il governo delle “milestone” per quanto inconsce.

Da qui l’esigenza di affidarsi ad un Docanalista: ovvero un esperto di contenuti destrutturati che sia in grado di far emergere i processi sommersi e proporre soluzioni di digitalizzazione che colgano l’essenza delle interazioni sul campo. Purtroppo gli outcomes non solo soffrono di destrutturazione ma spesso sono “nascosti” e rintracciabili solo su repository personali e fuori dal controllo e dal governo aziendale. Scovarli non è facile e bisogna agire con sistematicità e  capillarità.

La fase uno della metodologia della Docanalisi è proprio la mappatura di tutti contenuti aziendali, la loro classificazione, l’analisi delle fonti e la raccolta di tutti i dati di condivisione e fruibilità rilevabili.

Lo schema che segue descrive la mappatura informativa che consente di rilevare, digitalizzare e mettere sotto controllo il patrimonio documentale di un’organizzazione:

È  un primo passo che consente di raccogliere le “impronte” che lasciano i processi ad alto tasso di entropia e collaborazione. Sono spesso impronte ad “alto valore” che rivelano la natura dei processi più pregiati dell’azienda: la sua capacità di reattività, la sua possibilità di fruire delle competenze professionali spesso connesse al talento e all’ingegno delle singole risorse.

La fase due della metodologia è la ricostruzione dei processi sommersi e la loro relazione con quelli monitorati. E’ un’attività che potenzia la capacità di analisi e che permette di dosare gli interventi di miglioramento. Le tecniche di analisi si concentrano sulla natura relazionale della struttura sociale e descrivono le scelte degli attori, individuali e collettivi, che rappresentano il nodo di un vero e proprio network. Gli output del task indirizzano gli elementi di crescita sulla base delle seguenti rilevazioni:

·      Emersione della rete informale: l’analisi permette di far affiorare le contribuzioni apparentemente casuali che si nascondono nei processi collaborativi: Specialisti, Leader che, fuori dal funzionigramma previsto, sono centrali nelle fasi cognitive e spesso determinanti nelle attività critiche.

·      Rilevazione dei “buchi strutturali”: l’evidenziazione di processi che si esplicitano nella “periferia” dell’organizzazione, nodi dell’impresa poco connessi che necessitano di essere rafforzati e inclusi nei processi “core” da ottimizzare.

·      Mappatura dei processi collaborativi: l’individuazione dei processi decisionali che necessitano la collaborazione di più knowledge worker in modalità “destrutturata”. Sono processi non ripetitivi e difficili da mappare nel dettaglio ma che vanno “capitalizzati” e “orchestrati” in modo innovativo.

La Docanalisi propone un approccio “disruptive” fondata su due presupposti: il riconoscimento dell’identità cognitiva dell’azienda, della complessità genetica delle organizzazioni, e sull’idea che l’approccio analitico e deterministico della consulenza tradizionale, spesso basato sull’applicazione di modelli rigidi e obsoleti, non è sufficiente a cogliere gli aspetti più intimi e creativi dei processi aziendali.

Per saperne di più prova: https://bit.ly/2UqGsKo

P.S: Sigmund Freud è stato usato in quest’articolo in modo strumentale e abusivo. Speriamo non ne abbia a male.

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