L’RPA: la corazzata Potëmkin della digitalizzazione
Ritorniamo sull’argomento: l’RPA è una corazzata Potëmkin pazzesca! L’interesse sempre più diffuso verso questa tecnologia, la sua rapida adozione in diversi ambiti aziendali, ci costringono a riaprire la riflessione sulla robotizzazione dei processi di business e sui benefici reali che è possibile cogliere grazie agli strumenti di pura automazione.
L’idea di sostituire l’essere umano per i processi “task-based”, di risparmiare ai propri collaboratori le attività di routine, non in sé un’idea malsana, soprattutto se accompagnata dall’idilliaco progetto di consentire agli esseri umani di concentrarsi su attività più significative, godendo di più del proprio tempo libero e delle proprie capacità cognitive.
Un giudizio positivo potrebbe essere espresso anche sulla tecnologia in quanto tale: in fondo gli RPA sono utili in diverse circostanze, ad esempio dove è necessario automatizzare attività meccaniche che costringono gli utenti a saltare da un’applicazione all’altra o a disperdere le proprie energie nelle pure attività di data-collection e data-entry.
Quello che invece è meno degno di apprezzamento e la sua aurea di sacralità e la valutazione ottimistica che ne fanno gli addetti ai lavori. Le grandi aziende di Consulenza, ormai da più di un anno, la propinano come rimedio “tuttofare” per il raggiungimento di efficienze soprannaturali, come la leva tecnologica più importante per indirizzare la digitalizzazione dei processi.
Questa inclinazione magica viene ulteriormente magnificata quando si prospetta l’idea di un Bot dotato di “intelligenza autonoma” e dunque in grado di apprendere nel tempo nuove dinamiche lavorative.
Ma quanto corrisponde alla realtà questa prospettiva? Ma perché ci si affida così volentieri a questi strumenti?
Analizziamo insieme le motivazioni:
- L’RPA consente di automatizzare attività già digitali (ovvero svolte da un operatore umano attraverso un classico device) senza compromettere l’architettura IT in produzione. Questo consente di evitate l’impatto sulla piattaforma tecnologica preesistente e di limitare i costi di implementazione. Più che di Digital Transformation è meglio parlare di “Digital Adaptation”.
- L’RPA può essere programmato/istruito da chiunque e questo permette di usare manodopera a bassissimo costo con skill informatici basici. Manna dal cielo per le grandi società di Consulenza IT.
- L’RPA promette di agire sul back-office, eterno problema delle grandi compagnie che, dopo averle provate tutte per tagliare i costi con diverse forme di outsourcing, si rivolgono adesso speranzosi all’automazione digitale.
Motivazioni abbastanza prosaiche a ben vedere. Il problema non sta negli strumenti in sé a alla loro potenziale applicazione, ma nel racconto illusionista che ne fanno alcuni operatori sul mercato: illusione che si basa sull’idea preconcetta che le aziende moderne siano ancora pervase da processi integralmente task-based. Ma è un dato di fatto che le “catene di montaggio” stanno scomparendo da tutte le aree aziendali soprattutto in quelle amministrative.
Le attività di routine diventano sempre più impastate con le azioni cognitive e i progetti di automazione spesso falliscono perché trascurano le scelte che gli operatori umani fanno, consciamente o meno, durante l’esecuzione di compiti apparentemente meccanici. L’idea da mettere in discussione è proprio questa propensione a considerare le aziende come delle realtà del primo novecento, dai ruoli asetticamente combinati secondo regole industriali, immersi in un mercato poco dinamico e prevedibile, e composte da persone utilizzate come ingranaggi semi-intelligenti di modelli calati dall’alto.
Se ci attendiamo ai report elaborati annualmente dal Mckinsey Global Institute sul futuro del mondo del lavoro, solo il 5% delle attuali occupazioni potrà essere totalmente automatizzato (e in queste occupazioni non compaiono le funzioni amministrative), e il 60% delle attuali mansioni può essere automatizzato al 30%.
Sono dati interessanti che ci dicono quanto valore può produrre il digitale nel mondo del lavoro a supporto del miglioramento dei processi di business e allo sviluppo delle organizzazioni aziendali. Un 30% che non è dunque mera efficienza ma revisione digitale di mestieri e processi.
Ma per ottenere questo 30% di “boost digitale” non basta l’RPA, non basta automatizzare “l’as is” facendo il lifting alle vecchie applicazioni e creando un bot che scimmiotta il rapporto con la tastiera e il mouse di un essere umano, serve proprio il contrario: rimettere al centro dell’evoluzione digitale le persone e le organizzazioni con l’obiettivo di estendere le loro potenzialità e la loro capacità di azione.
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