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Reale o Virtuale? Una domanda sbagliata.

By 11 Novembre 2020 26 Novembre, 2020 No Comments

Reale o Virtuale?

Una domanda sbagliata.

Lavoro in presenza versus Smartworking? Scuola digitale versus scuola in aula? Negozi fisici versus E-Commerce? La pandemia in corso sembra aver accelerato un dibattito che si era stranamente assopito.

Oggetto di numerosi articoli e studi è la dicotomia fra reale e virtuale, e tutte le distinzioni che tendono a contrapporre due dimensioni quasi filosofiche: analogico e digitale, materiale e immateriale, reale e irreale.

Proprio nel momento in cui il digitale dimostra tutto il suo valore in termini di consistenza ed effettività, consentendo a molte realtà aziendali di dare continuità al lavoro e al business durante l’emergenza sanitaria, offrendo ad insegnanti ed alunni un mezzo alternativo per proseguire l’attività didattica, proprio nel momento in cui il digitale, per quanto poco sviluppato in molti settori sociali, da risultati di sostenibilità per certi versi imprevisti, ecco che si scatena una polemica generalizzata verso ciò che viene ritenuto “irreale” e “virtuale” e dunque da degradare al rango di “sub-realtà”, a dimensione “fake” della vita materiale.

Proprio la scuola, segnata da un dibattito politico divisivo, è stata oggetto del più discusso provvedimento anti-virale adottato del governo italiano, ovvero l’acquisto di circa 3 milioni di banchi idonei al distanziamento sociale. Ricorrere ad una nuova versione della soluzione “materiale”, una serie di atomi organizzati in forma di sedia a rotelle, segna, quasi in modo emblematico, la distanza fra quanto sia deformante l’ostilità nei confronti della via digitale: di fatto l’unica disponibile in caso di lockdown anche parziale. Risultato: nella stragrande maggioranza delle scuole italiane si registra una non uniformità degli strumenti tecnologici adottati e ad una impreparazione generale sulle soluzioni digitali in grado di far proseguire le lezioni, di definire modelli di valutazione elettronica, di adottare tecniche di didattica più adatte all’e-learning.

Anche quest’anno rischiamo di avere risultati scolastici non “affidabili” e “validabili”? 

Ricorreremo nuovamente ad una promozione indiscriminata degli studenti?

Questo è un problema reale?

La contrapposizione fra “presunto reale” e “presunto virtuale” è figlia della storia e assume nel tempo diverse forme e strutture, ma è ovviamente inconsistente. Nessuno si sognerebbe di attivare un interruttore e pensare che la luce ottenuta per illuminare la propria camera sia “irreale”, per quanto prodotta da una tecnologia ormai diventata domestica. E il teatro è finzione o realtà? (Provate a chiederlo alle maestranze di un teatro in questi giorni di chiusura…). Il cinema è realtà o virtualità? La moneta è ricchezza reale o ricchezza simbolica? E i derivati sono strumenti reali o fantasie finanziarie? Gli strumenti digitali stanno ridefinendo profondamente molti nostri comportamenti e la variazione esistenziale che ne risulterà sarà caratterizzata dalla sovrapposizione dei concetti di reale e virtuale, che sono, e saranno sempre più, compenetrati. Solo il tempo (e la familiarità con le nuove tecnologie) cancellerà questa dualità semantica che già le nuove generazioni trovano inspiegabile.

Lo smartworking è un fenomeno attuabile solo grazie alle nuove tecnologie.

I dubbi sulla sua efficacia sono legittimi: saltano i sistemi tradizionali di misura e di controllo, si attenua la capacità di salvaguardare il know how da parte delle aziende, le forme di apprendimento tradizionali vengono meno. Ma solo la tecnologia può darci una soluzione concreta per migliorare i processi produttivi a distanza e per rendere più intimi i rapporti fra soggetti che sempre con più frequenza lavoreranno da casa.

Innescare il digitale nei processi lavorativi e collaborativi dell’organizzazione aziendale è la più grande sfida tecnologica del momento.

Grazie ai nuovi mezzi di comunicazione oggi possiamo fare compagnia ai nostri vecchi a distanza, possiamo fare la spesa se siamo in una condizione di quarantena, possiamo comunicare col Sindaco della nostra città in modo diretto e, perché no, possiamo commentare un post e far sapere a chi vuole la nostra opinione. È una rivoluzione totale dai risvolti complessi e dalla natura imprevedibile. Bisogna solo adattarsi e fare le giuste distinzioni.

Le “fake new”, ad esempio, non sono un fenomeno dei social o del web. Il digitale ha solo velocizzato la loro diffusione e allargato il numero di soggetti in grado di pubblicare notizie più o meno inerenti a fatti veramente accaduti. Oggi la notizia che un tizio ha tramutato l’acqua in vino in occasione di un matrimonio, viaggerebbe a velocità iperboliche, subirebbe un processo di condivisione e di raccolta di commenti e forse si cancellerebbe dalla nostra memoria nel giro di qualche giorno.

Fake new? Verità? Falsità? Tutte domande sbagliate.

Lamentarsi della vacuità dei social, dolersi della robotizzazione e della relativa perdita di posti di lavoro, rimpiangere i sistemi di comunicazione tradizionali basati sull’autorevolezza e sui filtri istituzionali, non serve a niente: grazie al digitale solo chi produrrà le virtualità migliori starà bene e farà star bene i propri simili.

Ciò che conta è la nostra capacità di generare “senso”, di usare le tecnologie per migliorare il nostro benessere, per rendere più agili e veloci i nostri processi lavorativi o per difenderci dagli squilibri, che nella bucolica dimensione “reale”, abbiamo inflitto al nostro pianeta.

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